Il sistema bancario italiano e l'euro ------------------------------------------------------------------------ C'è un settore dell'economia che non può porsi domande e permettersi esitazioni sull'euro: dal 1° gennaio 1999 dovrà essere in grado di trattare la moneta unica come una qualsiasi altra valuta, con la massima familiarità. E' il settore creditizio, che in tutto questo processo di trasfromazione avrà un compito di importanza fondamentale. Vediamo di comprenderne più a fondo le cause. La prima, ovvia, osservazione è che il "prodotto" lavorato dalle banche è il denaro e che quindi, essendo l'euro una valuta, con la moneta unica si tocca proprio l'oggetto del lavoro delle banche. In secondo luogo, le banche occupano un posto centrale all'interno dei flussi finanziari di un moderno sistema economico: sotto diverse forme (contanti, assegni, bonifici, trasferimenti elettronici, carte di credito, ecc.) qualsiasi pagamento passa prima o poi attraverso di loro. Le banche sono un interfaccia di tutti gli altri soggetti dell'economia e verso ognuno di essi sono chiamate ad assumere nuove responsabilità in conseguenza della realizzazione della moneta unica. Verso i cittadini, le banche saranno inevitabilmente chiamate a svolgere un compito di informazione, garantendo la trasparenza e la chiarezza di qualsiasi modificazione del sistema oltre che provvedere fisicamente alla sostituzione di tutto il circolante in lire con banconote e monete denominate in euro a partire dal 1° Gennaio 2002. Verso le istituzioni pubbliche, le banche saranno chiamate ad assolvere vecchi obblighi ma con nuove difficoltà: si pensi alla necessità di monitorare i flussi di capitali con gli altri Paesi membri dell'Unione quando tutte le operazioni verranno denominate in euro o alle nuove richieste informative della futura Banca Centrale Europea per la definizione della politica monetaria. Verso le imprese, gli oneri delle banche sono ben maggiori, in quanto dall'inizio del 1999 qualsiasi istituto di credito, se vuole restare sul mercato, dovrà essere in grado di offrire alla propria clientela sia i servizi tradizionali in euro (soprattutto legati ai pagamenti), sia nuovi servizi legati all'introduzione della moneta unica. Questo secondo aspetto è fondamentale per le banche stesse e secondo molti analisti è uno dei punti di maggiore debolezza del nostro sistema creditizio rispetto a quelli di altri Paesi europei. Se infatti è fuori discussione che per le banche l'euro sia un costo, dipende esclusivamente dalla loro capacità innovativa trasformarlo in un'opportunità di sviluppo, analizzando le nuove condizioni offerte da un mercato finanziario molto più integrato, di dimensioni nettamente superiori, caratterizzato da nuove tendenze nella raccolta e investimento del risparmio. A questo proposito basta ricordare alcune chiare tendenze dei mercati. L'obbligo di rispettare i parametri di Maastricht imponga ai Paesi una gestione più virtuosa della spesa pubblica, quindi una riduzione del fabbisogno e quindi la liberazione di risorse finanziarie attualmente sottratte dal debito pubblico all'investimento produttivo. Se a questo associamo la convergenza dei tassi verso i livelli più bassi in Europa, ci rendiamo conto di come i titoli di Stato tendenzialmente diventeranno una forma di investimento meno allettante rispetto alle opportunità offerte da un grande mercato continentale fortemente competitivo. Inoltre, la ristrutturazione della politica sociale e previdenziale dimolti Paesi offrirà crescenti opportunità di sviluppo ad attività quali i fondi pensione che in alcuni Paesi europei quali la Gran Bretagna già rappresentano il risparmio nazionale per eccellenza. Le banche sono chiamate quindi a uno sforzo organizzativo straordinario in condizioni di concorrenza che l'introduzione dell'euro renderà ancora più pressanti. Come dicevamo, inoltre, se è vero che l'euro permette forti risparmi alle imprese lo fa ai danni delle banche che vedranno sparire intere voci nell'attivo (eliminazione degli spread sui tassi a pronti e sui tassi, operazioni di coperatura dai rischi di cambio, spese e commissioni su operazioni che da internazionali diventeranno nazionali, differenziale cambio cheque/telegrafico, commissioni su investimenti italiani in titoli esteri) mentre vedranno levitare sostanzialmente alcuni costi per l'adeguamento (hardware, software, formazione del personale, comunicazione, rifacimento modulistica, riorganizzazione interna, aumento tariffe fornitori di certi servizi). Le banche straniere da tempo si stanno attrezzando: la prima fase di valutazione dell'impatto dell'euro sull'attività bancaria si è conclusa in Germania da circa un anno e in Francia dall'inizio di quest'anno, mentre in Italia è ancora in pieno svolgimento. Solo in questi giorni gli Istituti di Credito stanno ricevendo dall'ABI le istruzioni sulle modifiche delle procedure rese necessarie dall'introduzione della moneta unica. Gli stanziamenti per gestire questa trasformazione previsti dalle banche estere, che in molti casi - ad es. in Gran Bretagna - hanno disponibilità di capitale ben più rilevanti di quelle degli istituti di credito nazionali, sono decisamente superiori e rischiano di mettere le nostre banche in posizione di sostanziale debolezza a fronte di una competizione che, su un mercato non più segmentato in diverse valute, sarà sempre più accesa e, secondo molti osservatori, porterà ad una progressiva concentrazione dell'offerta. Se questo è il panorama cosa si possono aspettare le nostre imprese dai loro istituti di credito? Un accordo interbancario prevede che le banche si impegnino ad offrire alcuni servizi minimi in euro ai propri clienti a partire dal 1999, indipendentemente dall'adesione o meno dell'Italia all'Unione Monetaria. Il minimo assoluto garantito sarà l'accettazione di pagamenti in euro: ogni istituto successivamente diversificherà la propria offerta di servizi in euro a seconda delle proprie strategie e dei necessari aggiustamenti che riuscirà a produrre. Sarà ancora una volta più importante per l'impresa verificare sul mercato l'offerta di servizi e le condizioni economiche offerte, valutando l'eventuale offerta di servizi di banche estere e tenendo ben a mente che gli alti costi di aggiustamento (dell'ordine delle centinaia di miliardi per un grosso istituto di credito tra aumento dei costi e diminuzione dei ricavi) le banche dovranno recuperarli su qualche altra voce. Introduzione ------------------------------------------------------------------------ Difficilmente i titolo della stampa sono così attenti ad un tema comunitario come nel caso dell'euro e il perché è immediatamente evidente. Il passaggio da una pluralità di valute ad un'unica moneta per Paesi con economie, culture e identità sufficientemente simili da permettere questo ambizioso progetto ma anche sufficientemente diverse per renderlo di difficile realizzazione, è un cambio epocale. Mai come con questa iniziativa l'Unione europea non solo va ad incidere pesantemente sulla dimensione economica e politica dei Paesi coinvolti, ma direttamente sulla vita di cittadini. L'uso di una certa valuta è un'abitudine di vita quotidiana, è uno dei sistemi di misura che noi utilizziamo costantemente per giudicare il costo, o il valore, di un certo bene o servizio: è come se si decidesse di cambiare il sistema metrico decimale. Difficile mettere in discussione i vantaggi dell'euro. Una moneta unica vuol dire, direttamente, eliminazione di enormi costi finanziari, sia di cambio che di gestione del rischio di cambio, maggior trasparenza dei mercati, mercati mobiliari più grandi e competitivi. Indirettamente, la moneta unica significa soprattutto maggior disciplina di bilancio nei singoli Paesi e questo è certamente l'aspetto che più preoccupa in quanto i margini di manovra delle politiche economiche dei singoli Paesi certamente si restringono. Un cambiamento di queste proporzioni richiede tempi di preparazione lunghi ed è questa la ragione per la quale il processo di realizzazione dell'Unione economica e monetaria (UEM) è stemperato in un periodo che va dagli anni '90, con la libera circolazione dei capitali, alla metà del 2002, con l'uscita di corso delle valute nazionali aderenti a favore dell'euro. Anche le varie componenti del sistema economico hanno tempi di reazione diversi: le banche sono certamente le prime ad essere coinvolte, in quanto dal 1999 dovranno essere in grado di operare in euro tanto quanto in qualsiasi altra valuta. I dettaglianti dovranno confrontarsi con l'euro nel 2002 e senza che questo richieda una lunghissima preparazione. La parola d'ordine comunque è quella di essere informati: che l'Italia entri o meno da subito nell'UEM, o che addirittura questa si realizzi, la posta in gioco è troppo grande per essere trascurata. Tra le molte iniziative che stanno nascendo da parte di soggetti pubblici e privati, per informare sull'euro e le sue conseguenze, anche la Camera di Commercio di Milano ha avviato una propria strategia di intervento mirante a monitorizzare l'evoluzione dell'UEM e approfondire i temi di maggiore interesse pratico per le imprese. Questa forte attenzione della Camera sul tema accompagnerà il mondo imprenditoriale milanese nei prossimi anni, con una costante evoluzione nella natura e nei contenuti dei servizi man mano che il futuro verrà delineandosi con maggiore chiarezza. Per cominciare, è stata realizzata una pagina WEB sull'euro (www.mi.camcom.it/euro) dall'Euro Info Centre, azienda speciale della Camera di Commercio di Milano specializzata su tutte le tematiche comunitarie, con tutte le informazioni sul divenire dell'UEM, un osservatorio delle iniziative più significative e le risposte alle domande più frequenti legate all'introduzione dell'euro. Per ulteriori informazioni: Daniele Colombo - Euro Info Centre CCIAA Milano - Tel 02/85155236 - e-mail danko@mi.camcom.it La Pubblica Amministrazione e l'euro ------------------------------------------------------------------------ La scelta forte in favore dell'euro operata dal Governo e, a quanto dicono i sondaggi, ampiamente condivisa dalla popolazione ha portato a risultati di grande rilievo. Osservando i dati economici presi in considerazione dagli ormai famosi parametri di Maastricht possiamo rilevare miglioramenti straordinari negli ultimi mesi che ci hanno portato alle soglie dell'ingresso con tutte le carte in regola. Paradossalmente, per alcuni valori, si delinea come legittima la domanda "ce la farà la Germania ad avvicinarsi ai valori dell'Italia ?" : un bel passo avanti per chi sino ad ora ha dovuto guardare oltre le Alpi con un misto di invidia e ammirazione. E' ormai chiaro che trucchi contabili, conflitti sociali, deficit fuori controllo, necessità di urgenti interventi restrittivi e così via sono pane quotidiano di quasi tutti i Paesi che ambiscono alla Moneta Unica e non di pochi dannati. I risultati comunque non mancano. La valutazione positiva della Commissione sul documento di programmazione economica presentato dal Governo italiano ha rappresentato un ulteriore fondamentale passo avanti, in quanto la recente "bocciatura" che tante polemiche aveva suscitato era sostanzialmente motivata dal timore che un eccesso di misure transitorie per ottenere i valori richiesti dal Trattato si riflettesse in un radicale peggioramento degli stessi parametri nei periodi successivi. Ora che l'ingresso dell'Italia nell'Unione Economica e Monetaria è decisamente più probabile, è giunto il momento di pianificare questo delicato passaggio. Un primo fondamentale passo in questa direzione è costituito dalla Direttiva del Presidente del Consiglio del 3 Giugno 1997 relativa all'adeguamento all'euro della Pubblica Amministrazione e il disegno di legge concernente delega al Governo per l'introduzione dell'euro. Quest'ultimo documento non fornisce un sufficiente livello di dettaglio per chiarire tutti i dubbi che il passaggio alla moneta unica solleva, ma certamente rappresenta un'indicazione sufficientemente chiara dei principi che verranno adottati in questa delicata fase di transizione, cercandola di renderla in meno dolorosa, e onerosa, possibile per il sistema economico, soprattutto in alcune sue componenti più sensibili (ad es. la finanza). Conviene sviluppare qualche riflessione più dettagliata relativamente alla Direttiva sulla PPAA. Si tratta di un quadro ambizioso, di un segnale politico estremamente forte che vuole rappresentare sia in Italia che all'estero una solenne riaffermazione dell'impegno del nostro Paese a proseguire con serietà lungo la strada imboccata. "L'Italia intende far parte dei Paesi partecipanti alla terza fase dell'Unione economica e monetaria fin dal suo avvio : l'euro, quindi sarà la nostra moneta dal 1° Gennaio 1999" ; basterebbe questo inizio per spianare ogni dubbio circa la volontà del Paese. Di fronte a un passaggio di così grande portata l'impegno del Governo non lo si legge solo nelle affermazioni di principio, che pure hanno un loro ruolo determinante nell'influenzare le aspettative dei mercati, ma anche nella volontà di trasformare la macchina pubblica in un elemento di facilitazione del passaggio all'euro piuttosto che di vincolo e ulteriore aggravio alle imprese. Gli impegni assunti in questa direzione, elaborati dal Comitato Strategico per l'Euro presieduto dall'On. Pinza, sono molto pesanti, allineandoci almeno nei propositi ai Paesi più avanzati. Con questa Direttiva si richiede che la PPAA sia in grado di operare indifferentemente in euro o in lire a partire dal 1° Gennaio 1999 e fino al 31 Dicembre 2001, accettando pagamenti ed effettuando trasferimenti in euro (purché evidentemente non in contanti) come se si trattasse di lire, senza alcun aggravio o penalizzazione per l'utente. Dal 1° Gennaio 2002 tutte le PPAA passeranno, contemporaneamente, all'euro. Cosa significa questo ? Poco per il cittadino : è difficile pensare ad un singolo che richiede di pagare l'IRPEF e l'ICI in euro piuttosto che in lire. Rientra nei suoi diritti, ma è obiettivamente poco probabile. Diverso il discorso per le imprese che potrebbero ritenere opportuno passare immediatamente ad una contabilità in euro : questa, ad esempio, pare essere la scelta di alcune multinazionali come la FIAT e la Philips, ma non è escluso che anche imprese di dimensioni del tutto diverse, fortemente legate a queste multinazionali o con una forte attività estera su mercati europei, optino per questa soluzione. Per loro, la possibilità di interfacciarsi senza difficoltà in euro con tutte le componenti della PPAA è un vantaggio concreto : quale impresa passerebee del tutto all'euro se, ad esempio, gli venisse richiesto di ottemperare agli obblighi fiscali in lire, e fosse di conseguenza tenuta a gestire comunque una contabilità in lire ? Certamente queste scelte politiche di fondo non costituiscono un elemento sufficiente per garantire un passaggio "indolore" all'euro, anche perché il lavoro richiesto in termini di adattamenti organizzativi, legislativi (basti pensare alla revisione di tutte le norme che prevedono pagamenti, dalle tariffe alle pene pecuniarie), di sistemi informativi, di procedure è oggettivamente enorme. E' altrettanto vero che inserire questo impegno della PPAA in una fase di profonda trasformazione di questo settore (è in discussione una legge di riforma globale) e accanto ad altri provvedimento, quali la possibilità di utilizzare strumenti di pagamento che non siano i contanti in certe operazioni, viene a costituire un mosaico incoraggiante per il miglioramento strutturale dei sempre difficili rapporti tra cittadino o impresa e Stato. Una dimensione dell'impatto dell'euro, questa, ancora troppo poco analizzata e discussa. Sondaggio su 500 imprese milanesi ------------------------------------------------------------------------ Maastricht, unione economica, moneta unica, euro. L'Italia è forse il Paese europeo dove se ne è sentito parlare più spesso ma anche se la Commissione ha recentemente riconosciuto che abbiamo sostanzialmente le carte in regola, il lavoro di preparazione è ancora tutto da fare. Questo il risultato di un sondaggio su 500 imprese di Milano e provincia realizzato dalla Camera di Commercio di Milano nell'ambito di un'indagine comparativa promossa in collaborazione con le Camere di Commercio di Parigi, Francoforte, Amsterdam e Madrid. Due gli obiettivi della ricerca: da una parte verificare quale fosse il livello di conoscenza sul tema dell'euro e dall'altra sondare le aspettative in termini di conseguenze sulle imprese. I risultati ottenuti sono sostanzialmente in linea con quelli delle altre ricerche svolte sia in Italia che in altri Paesi europei, a ridimensionare il mito di un'impresa italiana costantemente in ritardo rispetto ai suoi concorrenti stranieri, ma non per questo meno preoccupanti. Alcuni risultati suonano come semplici conferme: il 75% delle imprese dichiara una conoscenza nulla o scarsa del processo di realizzazione della moneta unica; il livello di informazione aumenta al crescere della dimensione d'impresa (gli informati passano dal 20% delle imprese con meno di 10 dipendenti a 74% in quelle con addetti compresi tra 50 e 200); il 90% degli intervistati che si dichiarano a conoscenza della processo di realizzazione dell'UEM non ha avviato ancora alcun intervento di adeguamento. Altri risultati meritano invece un approfondimento. L'euro-ottimismo diminuisce al restringersi della prospettiva di riferimento. Quando si parla di Italia, la percentuale di intervistati che vedono principalmente effetti positivi della moneta unica sono il 90%; già quando la valutazioni si spostano sul settore la percentuale degli euro-ottimisti scende al 60% per raggiungere il 54% quando si concentra la valutazione sulla singola impresa. Euro-pessimismo crescente? No, più probabilmente a fronte di un processo ampio e complesso come il passaggio a una sola valuta è molto più facile percepirne genericamente gli effetti positivi a livello di sistema economico piuttosto che declinarli a livello di impatto aziendale, soprattutto quando si tratta di ipotesi sul futuro. Ma su cosa si concentra l'attenzione delle imprese quando pensano al futuro passaggio all'euro? La transizione viene percepita innanziutto come un problema di adeguamento tecnico, i cui costi e successivi benefici si concentreranno nell'area informatica e amministrativo/contabile. Tra le imprese che si dichiarano informate sulla moneta unica, il 72% prevede costi di adeguamento informatico (e il 66% pensa di trarne benefici) mentre il 65% prevede costi di adeguamento amministrativo/contabile (a fronte dei quali il 57% si aspetta una positiva semplificazione). Al contrario, le imprese non ritengono nella maggioranza dei casi di dover prevedere delle iniziative di riorganizzazione commerciale, ridefinizione delle politiche di marketing e formazione del personale. Se questo quadro è veritiero, la tendenza è preoccupante: è possibile che il passaggio alla moneta unica, un esperimento di portata storica, si riduca per l'impresa a un aggiustamento di software e scritture contabili? Se le imprese forse non hanno ancora colto in pieno tutti gli aspetti del passaggio alla moneta unica, anche le banche sembrano non giocare del tutto il loro ruolo che pure è di straordinaria importanza. Più dell'80% delle aziende non ha ricevuto comunicazioni dalla propria banca relativamente alla disponibilità di nuovi servizi legati all'euro, alle nuove opportunità sui mercati mobiliari o a qualsiasi altro aspetto che testimoniasse la "vicinanza" dell'istituto di credito in questa fase di transizione. Per le imprese ci può essere incertezza su costi e benefici del passaggio all'euro. Per una banca i costi sono assolutamente evidenti; i benefici tutti da costruire e si costruiscono sviluppando nuovi servizi, con un approccio più attivo e innovativo verso i propri clienti. Questo sembra che non stia succedendo, forse perché anche le banche sono molto concentrate sull'adeguamento tecnico piuttosto che strategico in vista del passaggio alla moneta unica. Sondaggio su 500 imprese milanesi ------------------------------------------------------------------------ Maastricht, unione economica, moneta unica, euro. L'Italia è forse il Paese europeo dove se ne è sentito parlare più spesso ma anche se la Commissione ha recentemente riconosciuto che abbiamo sostanzialmente le carte in regola, il lavoro di preparazione è ancora tutto da fare. Questo il risultato di un sondaggio su 500 imprese di Milano e provincia realizzato dalla Camera di Commercio di Milano nell'ambito di un'indagine comparativa promossa in collaborazione con le Camere di Commercio di Parigi, Francoforte, Amsterdam e Madrid. Due gli obiettivi della ricerca: da una parte verificare quale fosse il livello di conoscenza sul tema dell'euro e dall'altra sondare le aspettative in termini di conseguenze sulle imprese. I risultati ottenuti sono sostanzialmente in linea con quelli delle altre ricerche svolte sia in Italia che in altri Paesi europei, a ridimensionare il mito di un'impresa italiana costantemente in ritardo rispetto ai suoi concorrenti stranieri, ma non per questo meno preoccupanti. Alcuni risultati suonano come semplici conferme: il 75% delle imprese dichiara una conoscenza nulla o scarsa del processo di realizzazione della moneta unica; il livello di informazione aumenta al crescere della dimensione d'impresa (gli informati passano dal 20% delle imprese con meno di 10 dipendenti a 74% in quelle con addetti compresi tra 50 e 200); il 90% degli intervistati che si dichiarano a conoscenza della processo di realizzazione dell'UEM non ha avviato ancora alcun intervento di adeguamento. Altri risultati meritano invece un approfondimento. L'euro-ottimismo diminuisce al restringersi della prospettiva di riferimento. Quando si parla di Italia, la percentuale di intervistati che vedono principalmente effetti positivi della moneta unica sono il 90%; già quando la valutazioni si spostano sul settore la percentuale degli euro-ottimisti scende al 60% per raggiungere il 54% quando si concentra la valutazione sulla singola impresa. Euro-pessimismo crescente? No, più probabilmente a fronte di un processo ampio e complesso come il passaggio a una sola valuta è molto più facile percepirne genericamente gli effetti positivi a livello di sistema economico piuttosto che declinarli a livello di impatto aziendale, soprattutto quando si tratta di ipotesi sul futuro. Ma su cosa si concentra l'attenzione delle imprese quando pensano al futuro passaggio all'euro? La transizione viene percepita innanziutto come un problema di adeguamento tecnico, i cui costi e successivi benefici si concentreranno nell'area informatica e amministrativo/contabile. Tra le imprese che si dichiarano informate sulla moneta unica, il 72% prevede costi di adeguamento informatico (e il 66% pensa di trarne benefici) mentre il 65% prevede costi di adeguamento amministrativo/contabile (a fronte dei quali il 57% si aspetta una positiva semplificazione). Al contrario, le imprese non ritengono nella maggioranza dei casi di dover prevedere delle iniziative di riorganizzazione commerciale, ridefinizione delle politiche di marketing e formazione del personale. Se questo quadro è veritiero, la tendenza è preoccupante: è possibile che il passaggio alla moneta unica, un esperimento di portata storica, si riduca per l'impresa a un aggiustamento di software e scritture contabili? Se le imprese forse non hanno ancora colto in pieno tutti gli aspetti del passaggio alla moneta unica, anche le banche sembrano non giocare del tutto il loro ruolo che pure è di straordinaria importanza. Più dell'80% delle aziende non ha ricevuto comunicazioni dalla propria banca relativamente alla disponibilità di nuovi servizi legati all'euro, alle nuove opportunità sui mercati mobiliari o a qualsiasi altro aspetto che testimoniasse la "vicinanza" dell'istituto di credito in questa fase di transizione. Per le imprese ci può essere incertezza su costi e benefici del passaggio all'euro. Per una banca i costi sono assolutamente evidenti; i benefici tutti da costruire e si costruiscono sviluppando nuovi servizi, con un approccio più attivo e innovativo verso i propri clienti. Questo sembra che non stia succedendo, forse perché anche le banche sono molto concentrate sull'adeguamento tecnico piuttosto che strategico in vista del passaggio alla moneta unica.